mercoledì 18 aprile 2012

Se potessi avere 1000 euro al mese. L'Italia sottopagata

Eleonora Voltolina
Se potessi avere 1000 euro al mese. L'Italia sottopagata
Edizioni Laterza


Se potessi avere 1000 euro al mese. L'Italia sottopagata, secondo libro dell’autrice Eleonora Voltolina, è stato presentato alla Feltrinelli a Piazza Colonna di Roma.
All’incontro, moderato da Federico Mello (giornalista del «Fatto Quotidiano»), sono intervenuti Ilaria Lani (sindacalista CGIL), Paola Natalicchio (giornalista precaria e ideatrice di «Errori di stampa») e il Prof. Pietro Ichino (giurista, docente universitario, giornalista e politico). Un titolo forte che ricorda in modo amaro che la Costituzione italiana sancisce il diritto di ogni lavoratore a una retribuzione «sufficiente ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa».


In Italia i cittadini tra i 19 e i 35 anni sono dodici milioni. La maggioranza è sottoimpiegata, sottopagata, sottorappresentata. E soprattutto è ricattabile, perché i giovani italiani del nuovo millennio sono un esercito senza armi e senza tutele, senza santi in paradiso. Il libro esce nel momento in cui il Governo e le parti sociali sono impegnate a riformare gli ammortizzatori sociali ed il mercato del lavoro. Da tali riforme dipende il futuro dei precari, giovani e non, ed un sistema di tutele con una platea più ampia di lavoratori.
Il professor Ichino, sostenitore di una riforma dei contratti di lavoro che abolisca le forme di lavoro precario e i contratti a progetto, prevedendo l'assunzione subito a tempo indeterminato come forma normale di assunzione, ha richiamato a tal proposito l’esempio della Svezia. Un paese che aiuta i giovani sin dalla più tenera età a capire le reali necessità professionali del mondo del lavoro ed indirizzarli verso di esso. Lo Stato aiuta i giovani ad inquadrare il loro lavoro ideale e li aiuta a realizzare le ambizioni personali e professionali. Il giurista ipotizza che anche in Italia si potrebbe adottare un contratto unico di inserimento e lavoro a tempo indeterminato, con un periodo di prova massimo di sei mesi ed una contribuzione previdenziale fissa al 30%. Una eccezione potrebbe essere ricondotta soltanto all’istituto dell’apprendistato. La riforma delle modalità d’ingresso al lavoro dovrebbe però essere accompagnata dalla riforma della normativa che regola l’uscita. L'applicazione dell'art. 18 dello statuto dei lavoratori per il licenziamento disciplinare e per quello ravvisato dal giudice come discriminatorio, la non sindacabilità giudiziale delle scelte tecniche e organizzative dell'imprenditore, bilanciata da un sistema di relazioni industriali in cui questo ruolo dalla magistratura del lavoro è riaffidato a un sindacato interlocutore del fenomeno produttivo.


Forte la risposta della rappresentante della CGL che ha dibattuto a lungo con il politico su questo tema molto caldo e attuale soprattutto quando il professor Ichino ha auspicato l’abrogazione dell’art 18 per la generalità dei licenziamenti, ad eccezione dei licenziamenti disciplinari, discriminatori o di rappresaglia, per i quali verrebbe mantenuta la tutela reale.

Un dibattito lungo ma civile, interrotto dall’autrice che ha stemperato gli animi ricordando che, “questa riforma è caduta nel libro perché in questo momento è ancora un disegno di legge, come tale è ancora da migliorare e modificare” e che ha affermato di credere che tale riforma abbia delle buone basi per ridurre l’apartheid lavorativo in quanto include i giovani precari negli ammortizzatori sociali come la disoccupazione e crea più vincoli per i contratti a progetto ad esempio nella chiara definizione dei ruoli professionali.
Ore trascorse tra scambi di idee e racconti da parte degli intervenuti, soprattutto quando Paola Natalicchio ha presentato il precariato giornalistico. Errori di Stampa, (un‘associazione di giornalisti 30-40enni precari) ha rilevato che solo nella città di Roma sono più o meno 2000 i giornalisti che guadagnano 25 euro a pezzo. Una situazione delicata nata dalla crisi economica globale che ha creato gli strumenti che permettono uno stato di sfruttamento. Dalla piaga del lavoro sottopagato non scampa nessuno: ricercatori, artisti, archeologi, "lavoratori della conoscenza".

Esempio di precariato è stato lo scandalo Rai: giornalisti che hanno dovuto aprire una partita Iva e versare 600 euro all’anno al commercialista. 1200 è, in media, il reddito mensile per una collaborazione che dura per un ciclo di trasmissioni. Inoltre le donne hanno siglato un contratto che al punto 10 sancisce che se la lavoratrice dovesse restare incinta, o affrontare un infortunio o una malattia, la Rai si riserva il diritto di dedurre «i compensi relativi alle prestazioni non effettuate», oltre a quello di rescindere il contratto «senza alcun compenso o indennizzo».
Perfino i medici prima della specializzazione passano mesi o anni a lavorare gratis negli ospedali. Al momento i precari, che appartengono a numerose categorie, non hanno tutele (malattia, maternità, sussidi di disoccupazione) perciò non possono costruire individualmente il proprio futuro. Il loro stipendio è più basso a parità di mansioni con i lavoratori a tempo indeterminato. Questo perché esiste un gran caos nel mondo del lavoro per quanto concerne i contratti e le retribuzioni, le partite iva sono confuse con i professionisti, i falsi lavoratori autonomi con i veri lavoratori autonomi. L’attuale governo tecnico ha ipotizzato una riforma del mondo del lavoro, superando la concertazione a favore di una consultazione delle parti sociali. Alcuni rappresentanti sindacali sostengono che il “lavoro precario deve costare di più”, incuranti del fatto che i ripetuti aumenti degli ultimi anni hanno reso difficile la sopravvivenza delle vere partite iva, senza impedire gli abusi e senza costruire un sistema di welfare per lavoratori che ormai (tra contributi e fisco) pagano più dei dipendenti, ma non hanno tutele. La soluzione proposta è quella di applicare al lavoro autonomo in monocommittenza norme analoghe al lavoro dipendente se il reddito non supera una data soglia (30 o 40 mila euro a seconda della proposta). Nel nostro paese, a parte la disoccupazione salita al 9,2% senza i cassaintegrati a zero ore, esiste anche lo sfruttamento dei giovani precari. Le aziende impiegano giovani menti per affrontare la competitività del mercato, senza ripagarle adeguatamente.


Il libro di Eleonora Voltolina descrive la nuova generazione di 30-40enni che vive questo delicato momento storico, intrecciando dati ufficiali e storie di vita. Tra le pagine si susseguono racconti di lavoro che fotografano una penisola in difficoltà dove i giovani non si arrendono nonostante il precariato. Da sempre sono i giovani la parte più dinamica di una società: sono loro a travolgere le barriere della tradizione, a proporre inedite letture della realtà. Eppure in Italia, per le nuove generazioni, questo non vale. La «generazione mille euro» non esiste più.
Quello che solo sei anni fa veniva indicato come lo stipendio standard dei giovani italiani si è ormai trasformato quasi in un miraggio. Maurizio, classe 82, ha un curriculum vitae dove compaiono collaborazioni con giornali importanti. Il suo sogno era scrivere e c’è riuscito. Fa il giornalista freelance e gestisce una società con altri due soci. Ma quando deve inviare il suo cv per candidarsi a vari annunci di lavoro è tentato di togliere qualche esperienza. “Il troppo a volte può stroppiare”. Simona è un avvocato trentenne ed ha uno studio in condivisione. Durante la giornata segue le pratiche dei clienti e la sera dà ripetizioni private. Vite accomunate dalla passione per il lavoro tanto desiderato ed agognato ed il precariato che esso comporta. Persone coraggiose, piene di idee e voglia di riuscire a superare le difficoltà per rendere migliore il presente, informandosi e condividendo.

Far conoscere agli altri, attraverso la rete, esperienze, pensieri e speranze. L’autrice, capitolo dopo capitolo snocciola dati che spiegano perché nessuna categoria lavorativa è immune dalla flessibilità,
“Non vi siete distratti né addormentati sui banchi. Siete giovani, volenterosi e avete finito di studiare più o meno nei tempi giusti. Il problema però è che nonostante master, corsi di specializzazione e tripli salti mortali non avete ancora un lavoro retribuito il giusto, per guadagnare di più dovete lavorare in nero e se siete fortunati vi rinnovano il contratto a progetto facendovi stare a casa solo un mese, quanto basta per non avere troppi diritti. Oppure, se lavorate in un negozio come commesse vi assumono come "associate in partecipazione" anziché come dipendenti subordinate e così vi pagano meno. O, peggio ancora, il vostro lavoro diventa quello di cercare lavoro, un'attività con cui non ci si annoia mai”.


Nella conclusione del volume, E. Voltolina propone delle possibile soluzioni per uscire da questa malata situazione economica e lavorativa, come “ pagare chi lavora”. Ipotesi che potrebbe sembrare semplice, banale e forse anche un po’ scontata. Ma basta leggere i capitoli precedenti per riscontrare che esistono dei meccanismi incancreniti che non permettono ai giovani di realizzarsi ed essere retribuiti adeguatamente. Molti entrando nel mondo del lavoro si sentono chiedere di lavorare gratuitamente o con un piccolo rimborso spese. “Se non si guadagna si rompe la comunione tra prestazione professionale e indipendenza. Noi siamo una generazione di semi-adulti che non riesce a svincolarsi del tutto dalla famiglia di origine. Nei periodi di transizione tra un lavoro a progetto ed un altro, non si ha diritto alla disoccupazione ed il minimo salariale percepito non permette di affrontare le spese improvvise come il dentista o il tetto che perde acqua”, ha osservato l’autrice durante la conferenza stampa.

Una realtà conosciuta da molte famiglie che vedono protrarsi l’ombelico generazionale all’infinito, genitori che aiutano i figli che non arrivano a fine mese. I soldi non bastano mai perché aumenta il caro vita ma non gli stipendi. Al contrario quelli dei precari, a volte, non sono previsti o comunque sono bassi. “Le famiglie funzionano da ammortizzatori sociali e mantengono figli e nipoti ben oltre l'accettabile, ma i risparmi si stanno assottigliando e il sistema è vicino al crac”.

Un libro che narra una realtà amara e propone delle soluzioni per cambiare il futuro non solo di tanti singoli cittadini, ma di un intero Paese.
fabiana traversi


Biografia
Eleonora Voltolina , giornalista professionista che ha creato e dirige la testata online Repubblica degli Stagisti. Nata a Roma nel 1978, cresciuta a Venezia, vive e lavora Milano. Laureata con lode in Scienze della comunicazione, Università “La Sapienza”, Roma. Nel luglio 2010 esce per Laterza il suo libro "La Repubblica degli stagisti. Come non farsi sfruttare". Nel 2011 è stata chiamata dalla Commissione lavoro della Camera dei Deputati per un’audizione sulla condizione giovanile, nell’ambito di una indagine sul mercato del lvoro in ingresso e sulle principali difficoltà dei giovani. A livello europeo ha contributo a stilare la Carta europea per la qualità di stage e praticantati, presentandola a Parigi in occasione della Youth Employment Conferenze. Le sue ricerche sono state utilizzate per la presentazione di interrogazioni parlamentari Ha collaborato a lungo con le pagine culturali e con il sito web del settimanale Panorama.